Il lavoro degli stranieri in Italia: le 5 P e il Welfare d'Integrazione

Qualche settimana fa, durante una trasferta in Veneto, siamo entrati all’interno di diverse dinamiche aziendali di alcuni dei nostri clienti e ci siamo resi conto che anche se contribuiamo ogni giorno a “rendere felici” i lavoratori, c’è ancora tanto da fare sia da parte nostra che delle organizzazioni.

Ci siamo infatti, ritrovati a “fare i conti” con moltissimi lavoratori stranieri: lo scenario a cui abbiamo assistito ci ha scossi, ci siamo dovuti confrontare con giovani uomini di diverse nazionalità, incapaci purtroppo, di sapere anche solo ripetere il proprio nome e/o confermarci se avessero ordinato i buoni spesa, che stavamo consegnando uno ad uno, via e-mail.

Da qui abbiamo quindi iniziato a pensare, a capire quanto forse ci fossimo illusi di fare Welfare in modo corretto e abbiamo capito che non basta dare spendibilità ai lavoratori, bisogna fornire servizi molto più specifici che non “riempiano” solo loro le tasche ma che li accompagnino in un percorso di integrazione.

Abbiamo deciso di informarci, di iniziare a capire quale fosse il panorama del lavoro straniero in Italia e di quante realtà e situazioni come quella che avevamo vissuto, potessero esistere nella nostra Penisola, con il fine di diventare promotori di un nuovo tipo di Welfare privato, quello d’integrazione.

 

 

I lavoratori stranieri in Italia

 

Di seguito riportiamo i dati di quanto emerso dalla nostra indagine.

ll 15 luglio 2020 il Ministero del Lavoro ha pubblicato il X Rapporto annuale sugli Stranieri nel mercato del lavoro in Italia, analisi condotta dalla Direzione Generale dell’Immigrazione e delle politiche di integrazione. I dati fanno riferimento all’anno 2019 e quindi non tengono in considerazione tutte le discussioni di regolarizzazione dei lavoratori stranieri in diversi settori economici, sorti durante l’emergenza Covid-19, che sicuramente andranno ad impattare il Rapporto del prossimo anno.

 

In Italia i lavoratori stranieri sono 2.505.000 e corrispondono al 10,7% degli occupati totali del nostro paese.

Il tasso di occupazione straniera è pari al 60,1%, superiore al 58,8% degli italiani, con una componente maschile in crescita dello 0,6% e una decrescenza dello 0,4% di quella femminile. Il tasso di inattività degli stranieri è del 30,2% e per quanto elevata la percentuale, risulta comunque inferiore a quella italiana, 34,9 %.

 

Le comunità con un tasso di occupazione maggiore sono:

 

 

Altre comunità, invece, come quella marocchina, registrano una percentuale di inattività e disoccupazione molto alta.

La differenza di genere nell’accesso al mondo del lavoro è marcata: più dell’80% delle donne di origine pakistana, bangladese ed egiziana non hanno un’occupazione.

Tale dato è fortemente condizionato dalle esigenze di cura di familiari e figli da parte delle donne straniere, dovuta alla scarsa offerta di servizi per l’infanzia per questi nuclei familiari e alla loro poco sostenibilità a livello economico nonché all’assenza di una rete familiare di supporto.
Gli unici settori dove troviamo un’alta percentuale di lavoratrici di origine straniera, sono quelli rivolti ai servizi domestici e/o cura alla persona, che però essendo spesso irregolari sono stati i più colpiti dall’emergenza coronavirus e dei più discussi dal Governo in questo periodo.

 

I settori dell’occupazione straniera

 

L’87% degli occupati stranieri in Italia sono lavoratori dipendenti, concentrati soprattutto in alcuni settori:

 

 

 

Il lavoro degli stranieri in Italia può essere descritto con le 5 P: pesante, precario, pericoloso, poco pagato, penalizzato socialmente. Infatti, il 90% degli immigrati svolgono lavori di tipo manuale, mentre il restante 10% si riferisce a lavoratori autonomi.

Inoltre, gli stranieri in media guadagnano il 30% in meno degli italiani e solo il 23% si dichiara soddisfatto del proprio salario. Questi lavoratori fanno parte della categoria dei “working poor”, ossia persone che hanno un lavoro ma che vivono comunque in condizioni di povertà.

Gli stranieri quindi sono soggetti a meccanismi di sovra-qualificazionesotto-retribuzione, e ciò va a scontrarsi con il concetto che definisce il lavoro come “fattore chiave del processo d’integrazione”.

Tuttavia, nel confronto con i dati del 2018, cresce il tasso di lavoratori stranieri indipendenti (+2,7%), in netta controtendenza rispetto agli italiani.

 

Le comunità più rappresentative per numero di imprenditori sono:

 

 

Quello che questi dati raccontano dunque, si contrappone alle convinzioni degli italiani, i quali tendano a sovradimensionare la percentuale di migranti sul territorio (ferma al 10%, a fronte del 26% stimato) e a credere che più del 40% degli stranieri siano senza lavoro.

Gli occupati stranieri regolari contribuiscono al fisco molto di più di quanto ricevano in forma di servizi e supporto dal settore pubblico, andando a coprire largamente i costi che lo Stato spende per politiche di accoglienza, oltre che a finanziare virtualmente le pensioni.

 

L’integrazione straniera in Italia

 

L’indice MIPEX (migrant integration policy index), mette insieme diversi indicatori di inclusione dello straniero (dal lavoro, alla salute, passando per scuola e politiche sociali), in Italia ha evidenziato il basso livello italiano delle politiche d’accoglienza, soprattutto quando si parla di educazione, che come per il lavoro è uno strumento fondamentale d’inclusione.

Il numero di alunni di origine straniera che frequentano le scuole italiane è in crescita, tuttavia l’indice MIPEX, dimostra come questi, ancora vengono etichettati come “gruppo problematico” e raramente vengono effettuate accurate riflessione sui bisogni individuali o adeguate e differenziate modalità di insegnamento a seconda che si tratti di bambini di prima o seconda generazione, arrivati di recente, figli di rifugiati, non accompagnati, etc.

L’Italia inoltre è tra gli ultimi posti per le politiche di accesso ai vari tipi di scuola, “i nuovi arrivati” rischiano molto spesso di essere inseriti ad un livello educativo non idoneo, attualmente meno della metà dei nati all’estero è collocato nella classe adeguata alla propria età.

L’abbandono scolastico tra i ragazzi stranieri è drammaticamente alto, la percentuale di alunni non ammessi alla classe successiva rappresenta l’8,7%, quasi quattro volte il numero degli italiani (2,7%), e ciò avviene in tutti i gradi di scuola: già all’età di 15 anni, gli studenti stranieri in Italia raggiungono un gap altissimo nei rendimenti scolastici rispetto ai paesi OCSE.

 

Happily e il nuovo progetto di Welfare D’Integrazione

 

Come abbiamo visto, l’inclusione non è che il risultato di un delicato equilibrio, al crocevia tra il mercato del lavoro e la sfera educativa.

Di fronte alle difficoltà degli attori politici, noi di Happily ci impegniamo nel nostro piccolo e con massima umiltà, a rivedere i nostri servizi e a proporne di nuovi nei prossimi mesi, affinché le persone straniere che fortunatamente sono già inserite all’interno di un contesto lavorativo possano avere un Welfare d’integrazione in grado di connettere scuola, società e lavoro e garantire un’inclusione per sé ma soprattutto per i propri familiari a 360°.

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